JOBS ACT: ma di cosa stiamo parlando?

In questi giorni siamo alle prese con una nuova - si fa per dire - puntata del serial “Chi è per l’articolo 18 alzi la mano”. Lo spunto è dato dal progetto di riforma del mercato del lavoro, il cosiddetto Jobs Act varato dal Governo Renzi e in discussione al Senato.
Sgombriamo subito il campo dagli equivoci. Il tema art. 18 dello Statuto dei lavoratori è solo una parte di una riforma ambiziosa e di vasta portata che vuole andare ben oltre l’eterna disputa sul mantenimento o meno dell’obbligo di reintegro previsto dalla norma in questione. Sempre per sgombrare il campo dagli equivoci (ma sarebbe meglio dire dalle mistificazioni ideologiche), bisogna precisare che la riforma in questione non prevede l’eliminazione dell’articolo 18 per i rapporti di lavoro in corso. Inoltre resta fermo l’obbligo del reintegro nel caso di licenziamenti discriminatori. Detto questo, la riforma del mercato del lavoro prevede:
  1. La revisione del sistema degli ammortizzatori sociali (sussidi di disoccupazione, cassa integrazione, contratti di solidarietà etc) in modo da assicurare tutele uniformi anche a quei lavoratori che finora non ne hanno beneficiato. Se ne parla da anni e adesso Renzi e il suo governo hanno deciso di realizzarla.
  2. L’introduzione di un sistema di servizi per il lavoro e di politiche attive volte a garantire incentivi all’assunzione da parte delle imprese, formazione professionale, riqualificazione professionale e servizi che facilitino l’inserimento e, nel caso dei disoccupati, il reinserimento al lavoro.
  3.  La semplificazione delle procedure e degli adempimenti connessi alla gestione dei rapporti lavorativi.
  4. La razionalizzazione delle varie tipologie di contratti esistenti individuando come forma “preferita” il contratto di lavoro  a tempo indeterminato a tutele crescenti in rapporto all’anzianità, oltre alla previsione di un compenso minimo valido per tutti i lavoratori, dipendenti e non.
  5. L’estensione delle misure a tutela della maternità a tutte le lavoratrici e, più in generale, l’ampliamento delle misure dirette a conciliare i tempi di lavoro con le esigenze della vita  di tutti i giorni (orari flessibili, incentivazione per i nidi aziendali).
In poche parole, con il Jobs Act il Governo intende mettere mano alle norme che regolano il funzionamento del mercato del lavoro con l’obbiettivo di estendere le tutele a chi non le ha: pensiamo ai parasubordinati, ai collaboratori con partita Iva e, più in generale, ai circa 9 milioni di precari per i quali l’articolo 18 è probabilmente l’ultimo dei loro problemi.
Considerando l’urgenza di una riforma del genere, da tanti anni evocata da più parti e mai realizzata, si può discutere di tutto questo evitando falsità e mistificazioni, senza aggrapparsi alla coperta di Linus dell’articolo 18 per partito preso o, peggio, per squallidi tentativi  di rivincita interna?